Brano: [...]luglio 1921, in parte perché all'inizio del 1922 era tutto preso ormai dal progetto della nuova rivista, Calosso fu chiamato spesso a sostituirlo. La prima nota teatrale attribuita a Calosso appare nel numero del 5 gennaio 1922, ed è dedicata alla rappresentazione di una commedia di Niccodemi, L'alba, il giorno e la notte. Da allora le note di Calosso siglate « m.s. », oppure firmate con lo pseudonimo « Mario Sarmati »4, si alterneranno a quelle di Gobetti, di cui l'ultima appare in uno degli ultimi numeri del giornale nel fatidico 28 ottobre 1922.
Nel ricordare l'episodio Calosso con quel tono amichevolmente canzonatorio che gli era abituale delinea e contrappone due modi di concepire la critica teatrale. Gobetti prende il proprio compito troppo sul serio, giudica la commediola del giorno con gli stessi canoni estetici con cui si commenta la Divina Commedia tanto da essersi richiamato alla barettiana frusta (come critico teatrale Gobetti si firmava Baretti Giuseppe), e vi sfoga « feroce serietà stroncatoria » che gli fa venire in mente Papini[...]
[...]'adolescente fondatore di « Energie nove » sia avvenuta attraverso la collaborazione al giornale comunista. Del resto egli stesso riconobbe lealmente quanto dovesse alla sua amicizia con Gramsci e alla conoscenza diretta delle lotte operaie torinesi. A distanza di piú di vent'anni lo stesso Calosso riprende il tema nella prefazione del 1945, anzi ne fa il nucleo centrale della sua rievocazione. Prima del contatto con la classe operaia la cultura di Gobetti era prezzoliniana, gentiliana, missiroliana (« Prezzolini, Gentile, Missiroli: tre uomini senza carattere, interpretati da un giovane di carattere »). Croce venne piú tardi, ma c'erano poi anche Salvemini, Einaudi, Mosca, e i libri del giorno. Se non ci fosse stato l'incontro con « l'Ordine Nuovo » e la classe operaia torinese, tutte queste influenze avrebbero potuto generare « una farandola d'idee senza un centro, una riforma e un liberalismo missiroliano capace dei piú strani funambolismi dialettici, un moralismo prezzoliniano puramente librario ». Non accettò il socialismo ma fu a fianco d[...]
[...]dei piú strani funambolismi dialettici, un moralismo prezzoliniano puramente librario ». Non accettò il socialismo ma fu a fianco degli operai. Cosí riuscí a inserire le lotte del lavoro in un liberalismo « di timbro religioso », e ne fece un esempio di « quella riforma morale » che il Risorgimento aveva tentato invano. (Poco prima lo aveva definito « religioso laico » 9.)
Questo ritratto può sembrare oggi un po' di maniera dopoché sul pensiero di Gobetti e sulle sue fonti sono state scritte centinaia di pagine. Ma può sembrare di maniera proprio perché è stato ripetuto da allora infinite volte, e non si può dire che gli studi successivi l'abbiano cambiato tanto da renderlo irriconoscibile. Personalmente credo che il nucleo resistente del pensiero gobettiano sia salveminiano ed einaudiano, ed alla fin fine piú einaudiano che salveminiano, e alla lunga di ascendenza cattaneana con un di piú di giovanile ribollimento che gli veniva dalla consuetudine con Alfieri. Occorre dire che sui rapporti fra Gobetti e « l'Ordine Nuovo » Calosso era già inte[...]
[...], come si è visto, era lui stesso) a fare alcune riserve amichevoli ma fondamentali. L'aver capito che
« in quel ragazzo sorridente c'era un attivismo ascetico e un puritanismo pratico che portava un accento originale » fu merito di Gramsci.
A questo punto Calosso introduce nel quadro di maniera un tratto nuovo. Osserva che, se è vero che Gobetti accettò il nocciolo del programma di Gramsci, è altrettanto vero che Gramsci trovò nel liberalismo di Gobetti un alleato indipendente e un respiro culturale piú largo. Non piú dunque un Gobetti influenzato da Gramsci ma un Gramsci e un Gobetti che si influenzano a vicenda. « La formula liberale di Gobetti, che in astratto si prestava [...] a giustificare indifferentemente ogni programma, trovò nel quadrato e martellato pensiero di Gramsci un'esperienza vissuta e un punto fermo che furono decisivi per la sua chiarificazione e orientazione definitiva » (ivi, p. 79). Non è il caso di discutere questa interpretazione che ubbidisce a un'esigenza politica e non a un criterio di analisi storica. Da discutere, se mai, e da rifiutare, una delle ragioni per cui Gramsci e Gobetti avrebbero finito di convergere: la comune matrice gentiliana. « Il liberalismo di Gobetti partiva da premesse filosofiche anal[...]
[...] e martellato pensiero di Gramsci un'esperienza vissuta e un punto fermo che furono decisivi per la sua chiarificazione e orientazione definitiva » (ivi, p. 79). Non è il caso di discutere questa interpretazione che ubbidisce a un'esigenza politica e non a un criterio di analisi storica. Da discutere, se mai, e da rifiutare, una delle ragioni per cui Gramsci e Gobetti avrebbero finito di convergere: la comune matrice gentiliana. « Il liberalismo di Gobetti partiva da premesse filosofiche analoghe a quelle di Gramsci: l'hegelismo di Gentile; e queste premesse essendo in entrambi di terza mano permettevano tanto piú comodamente al loro pensiero di giungere a risultati politici originali, che s'incontravano nell'esigenza dell'autonomia » (ivi, p. 78). Il problema dell'egemonia gentiliana non è un problema che si possa sbrigare in due battute. In quegli anni quasi tutti i giovani pensanti e militanti (non importa se a destra o a sinistra) ne furono segnati. Ma per molti si trattò di una infatuazione giovanile che non lasciò tracce durature negli an[...]
[...]ginali, che s'incontravano nell'esigenza dell'autonomia » (ivi, p. 78). Il problema dell'egemonia gentiliana non è un problema che si possa sbrigare in due battute. In quegli anni quasi tutti i giovani pensanti e militanti (non importa se a destra o a sinistra) ne furono segnati. Ma per molti si trattò di una infatuazione giovanile che non lasciò tracce durature negli anni della raggiunta maturità. Il che avvenne certamente nel caso di Gramsci e di Gobetti. A ogni modo questo avvicinamento tra Gobetti e Gramsci induce Calosso a una conclusione inedita,
e cioè che « in un certo senso, "Rivoluzione liberale" fu l'erede de "l'Ordine Nuovo" » (ibidem). Inedita e isolata. Lo stesso Calosso non la riprese nella prefazione del 1945, dove si limitò a dire che « Rivoluzione liberale » fu « il foglio
lo Gramsci e l'« Ordine Nuovo » in « Quaderni di Giustizia e Libertà », n. 8, agosto 1933, pp. 7079, firmato « Fabrizio ». Nel numero successivo Calosso protesterà col proto che gli ha mutato lo pseudonimo « Fabrizi » in « Fabrizio ». Mentre Fabrizio è un [...]
[...]a lettera Calosso ricorda di essere stato allievo di Einaudi insieme con Gobetti « mio condiscepolo » (ivi, p. 6), dove « condiscepolo » deve essere inteso in senso molto generale perché l'uno era studente di lettere, l'altro di giurisprudenza. Il significato dell'articolo del « Mondo » è già nel titolo: Gobetti fra Gramsci ed Einaudi, ed è reso esplicito nella frase seguente: « Se Gramsci e la classe operaia torinese rappresentano il punto duro di Gobetti, Einaudi ne rappresenta il punto chiaro, di cui egli aveva bisogno ». Il punto duro e il punto chiaro, il pensiero rivoluzionario e il pensiero liberale, la cui sintesi sarebbe stata la rivoluzione liberale. Ma Calosso non trae una conclusione. Dopo aver detto che la discussione tra Einaudi e Gobetti « ci lascia tutti pensosi » conclude non con una risposta ma con una domanda. Chi dei due avrà ragione?
11 Dei quali ho avuto notizia attraverso le schede della bibliografia gobettiana, apprestata con grande diligenza da Bergami, di prossima pubblicazione come quarto volume delle Opere complete [...]
[...]to che la discussione tra Einaudi e Gobetti « ci lascia tutti pensosi » conclude non con una risposta ma con una domanda. Chi dei due avrà ragione?
11 Dei quali ho avuto notizia attraverso le schede della bibliografia gobettiana, apprestata con grande diligenza da Bergami, di prossima pubblicazione come quarto volume delle Opere complete di Piero Gobetti presso l'editore Einaudi. Si tratta di riferimenti o allusioni alla personalità e all'opera di Gobetti nei numerosi articoli che Calosso venne scrivendo prima in esilio e poi dopo la liberazione, nonché di recensioni alla raccolta Scritti attuali, da cui questa mia comunicazione ha preso le mosse.
12 Segnalazione anonima degli Scritti attuali, in « Gazzetta del Nord », I, n. 6, 24 giugno 1946, p. 1.
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Ho toccato aspetti meno noti dei rapporti fra Gobetti e Calosso. Non ho trattato di proposito il tema alfieriano. Entrambi si erano laureati con una tesi sull'Alfieri, il primo nel 1920, il secondo nel 1922, e ne trassero due libri, L'anarchia di Vittorio Alfieri e La fil[...]
[...]i sarebbe secondo Calosso la filosofia dell'atto, e la filosofia dell'atto si identifica col liberalismo. Ma se il liberalismo è attivismo e Alfieri è un liberale, sono tutti liberali, Gioberti come Mazzini, Marx come Torquemada 13 Un giudizio ingiusto, e bisogna pur dirlo, anche senza mordente (non ostante l'intenzione di mordere). Un caso in cui palesemente Calosso è stato tradito dal gusto della boutade. Tanto piú ingiusto in quanto l'Alfieri di Gobetti non è un liberale ma un libertario, molto piú vicino all'anarchico che lui stesso, Calosso, ha tratteggiato che non al liberale classico come Locke o Constant. Basti questa frase: « L'Alfieri nega la tirannide perché piú forte dell'esigenza sociale freme in lui il represso ardore di una attività individuale, piú forti di tutti i motivi democratici lo animano gli impulsi anarchici e aristocratici della sua esuberanza
e della sua concreta coscienza creativa. La sua critica è superiore all'enciclopedismo e al liberalismo sensistico »14. Si capisce, c'è modo e modo d'intendere l'anarchia, o il l[...]
[...]ndividuale, piú forti di tutti i motivi democratici lo animano gli impulsi anarchici e aristocratici della sua esuberanza
e della sua concreta coscienza creativa. La sua critica è superiore all'enciclopedismo e al liberalismo sensistico »14. Si capisce, c'è modo e modo d'intendere l'anarchia, o il libertarismo. C'è una concezione etica e una concezione che si potrebbe dire edonistica o utilitaristica o meramente estetica dell'anarchismo. Quella di Gobetti è risolutamente la prima. Si rilegga una delle pagine piú belle
e piú gobettiane del libro: « La religiosità alfieriana è il trionfo dei valori interiori. Le religioni costituite e dogmatiche separano tra autorità gerarchica e umiltà di popolo, tra impero e ubbidienza; alla loro base, piú profonda ancora di ogni esperienza mistica, sta un principio utilitario, un calcolo di cui le classi gerarchicamente piú elevate si servono. La religione della libertà esclude interessi e calcoli, esige, come efficacemente scrive l'Alfieri, fanatismo negli iniziatori,
e negli iniziati entusiasmo di sinceri[...]
[...]ti libertari ricordano Stirner e Nietzsche » 15
13 L'anarchia di Vittorio Alfieri, Bari, Laterza, 1924, p. 48.
14 La filosofia politica di Vittorio Alfieri, in Scritti storici, letterari e filosofici, Torino, Einaudi, 1969, p. 118.
15 Risorgimento senza eroi, in Scritti storici, letterari e filosofici, cit., p. 74.
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Non meno artificiosa anche l'altra contrapposizione, fra un Alfieri iniziatore del Risorgimento, quello di Gobetti, e un Alfieri cosmopolita, la cua patria è il mondo, quello di Calosso. Artificiosa, perché la interpretazione di Gobetti non ha niente a che vedere con la tesi di un Alfieri patriottico, tanto da respingere come grossolana l'interpretazione di Gentile che esamina l'Alfieri « solo in relazione alle sue conseguenze patriottiche » (ivi, p. 91). Il proposito di Gobetti è di fare dell'Alfieri il capostipite di una storia « filosofica » del Risorgimento in Piemonte, dove l'accento deve cadere su quel « filosofico », giusto o sbagliato che sia. Una storia certo tutta inventata ma che coi suoi Ornato, i suoi Gioberti, i suoi Bertini, non ha nulla in comune con la storia scolastica dei precursori del Risorgimento. Anche la contrapposizione fra l'interpretazione politica di Gobetti e quella non politica di Calosso, è fuorviante. La politica di Alfieri secondo Gobetti è la religione della libertà che non è politica nel senso abituale del termine essendo invece un atteggiamento etico, che come tale dovrebbe ispirare ogni politica ma non è di per se stesso immediatamente politico. Oserei dire che nell'espressione del titolo « filosofia politica », è piú importante il sostantivo che l'aggettivo.
Resta il problema di capire le ragioni dell'alfierismo di questi due personaggi cosí diversi che pur fanno dell'Alfieri il loro modello ideale. Di Gobetti disse giustamente Fubini [...]
[...]tà che non è politica nel senso abituale del termine essendo invece un atteggiamento etico, che come tale dovrebbe ispirare ogni politica ma non è di per se stesso immediatamente politico. Oserei dire che nell'espressione del titolo « filosofia politica », è piú importante il sostantivo che l'aggettivo.
Resta il problema di capire le ragioni dell'alfierismo di questi due personaggi cosí diversi che pur fanno dell'Alfieri il loro modello ideale. Di Gobetti disse giustamente Fubini che nell'Alfieri cercava soprattutto se stesso 16. Parimenti, quasi non c'è scritto di Calosso in cui non compaia a proposito o a sproposito una citazione di Alfieri. Un alfierismo tanto piú interessante da studiare e da capire in quanto né l'uno né l'altro erano letterati, e sono stati invece entrambi prevalentemente scrittori politici. Per Gobetti si potrebbe trovare una ragione della sua passione alfieriana anche nel « piemontesismo », ma per Calosso questa ragione non vale perché proprio in una nota del suo Alfieri canzona gli amici piemontesisti ed equipara il pi[...]